Il latte: amico o nemico?
12 febbraio 2025 – Ridefinire l’impronta ambientale e il concetto di qualità nel settore lattiero-caseario

Mercoledì 12 febbraio, negli spazi del Centro Congressi di Palazzo Invernizzi, si è tenuta la conferenza dal titolo “IL LATTE: amico o nemico?” organizzata dalla Fondazione Invernizzi in collaborazione con l’IRCAF – Centro di riferimento agro-alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. All’incontro sono intervenuti il Prof. Giuseppe Bertoni Presidente Fondazione Invernizzi; Stefano Gatti, Ministro Plenipotenziario e Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo MAECI; Prof. Lorenzo Morelli, Ordinario di Microbiologia all’Università Cattolica; Prof. Erminio Trevisi, direttore di IRCAF e del DiANA dell’Università Cattolica, e i professori: Claudio Bosio, Guendalina Graffigna, Vitaliano Fiorillo, Claudio Bandi e Paolo Ajmone Marsan.
Tra i focus dell’incontro emerge il nuovo approccio al calcolo dell’impatto ambientale delle produzioni agroalimentari rappresentato dalla nLCA, ovvero nutritional Life cycle assessment. Per LCA, si intende la valutazione dell’impronta ambientale di un prodotto nel suo intero ciclo di vita. La novità sta tutta in quella “n” che, in questo calcolo, introduce il fattore “nutrizionale”. Un approccio adottato per la prima volta dalla FAO nel 2021, quando si è capito che la densità di nutrienti di un cibo, gioca un ruolo determinante per giudicarne l’impatto. Il nuovo approccio FAO indica nel latte un alimento a basso impatto ambientale, contrariamente al “vissuto” fino a oggi. La ricerca della FAO porta infatti ad alcune considerazioni, prima fra tutte quella che bisogna rivedere profondamente il vissuto (spesso demonizzato) dei prodotti lattiero-caseari come un danno per l’ambiente. A questa chiara presa di posizione della FAO si aggiunge il lavoro svolto recentemente da IRCAF, Centro di riferimento in area agro-alimentare istituito nel 2020 grazie al supporto della Fondazione Invernizzi e attraverso la collaborazione fra tre atenei: l’Università Cattolica del Sacro Cuore (che ospita il Centro presso il Campus di S. Monica a Cremona), l’Università Commerciale Luigi Bocconi, l’Università degli Studi di Milano, con una ricerca nella quale si dimostra come la nLCA degli allevamenti italiani sia in realtà ancora più favorevole di quanto riporti FAO (che, ovviamente, si rifà a medie mondiali) e – al tempo stesso – come il concetto di “qualità” nel settore lattiero-caseario sia ancora da affinare e definire.
La conferenza è iniziata con i saluti del Presidente della Fondazione Invernizzi, il Prof. Giuseppe Bertoni, che ha ricordato la genesi della Fondazione a partire dalla storia dei coniugi Invernizzi e del loro lavoro nel settore lattiero-caseario italiano. Il Presidente ha introdotto gli interventi ricordando che l’incontro è un invito ad apprezzare il latte che – come tutte le cose – ha sicuramente aspetti meritevoli di attenzione, ma proprio la ricerca presentata dall’IRCAF ne mostra i tanti positivi. Per quanto riguarda l’impatto della sua produzione ha dichiarato: “Se non ci sono produzioni intensive non c’è cibo per tutti”.
È intervenuto da remoto il Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Stefano Gatti che tra i vari incarichi è ancheinviato speciale del MEACI per la sicurezza alimentare. Il Direttore ha dato un contesto internazionale alla discussione, ricordando il ruolo centrale giocato dall’Italia leader del dibattito sul tema, su richiesta delle Nazioni Unite. L’Italia è tra i più grandi produttori ed esportatori di cibo. Quando si parla di nutrizione, il tema del latte è importante così come l’allevamento e la produzione, spesso vittime di miti negativi e fake news. Tornare alla verità scientifica è importante grazie ai rapporti prodotti della FAO e a ricerche come quella dell’IRCAF, per proteggere il sistema italiano, che non solo opera all’interno dei confini nazionali ma che è coinvolto nei Paesi in via di sviluppo per supportare, attraverso la cooperazione, progetti di sicurezza alimentare soprattutto in Africa.
Il Prof. Lorenzo Morelli: ha introdotto il lavoro IRCAF mettendo al centro il ruolo del consumatore, che è bombardato da informazioni diverse e spesso errate. “Da qui nasce l’idea di questo incontro e della ricerca IRCAF” – ha dichiarato Morelli. Sono stati fatti dei lavori per rispondere a diverse domande da un punto di vista interdisciplinare. Importante, quando si parla del consumatore, è la percezione della qualità del latte analizzata da un punto di vista psicologico ma anche i fattori economici e di salute degli animali. Per questo il coinvolgimento dei tre diversi atenei milanesi (Bocconi, Cattolica e Statale) per fare un’analisi congiunta ma con punti di vista diversi.
È stato poi il professor Erminio Trevisi, direttore di IRCAF e del dipartimento DiANA dell’Università Cattolica, a mettere al centro il tema della giornata. Lo ha fatto presentando i dati sull’impatto ambientale del settore agroalimentare, evidenziando la riduzione delle emissioni e l’importanza del metodo Nutritional Life Cycle Assessment (nLCA) per valutare la sostenibilità del latte. Una ricerca IRCAF ha mostrato che gli allevamenti italiani hanno un impatto ambientale inferiore alla media FAO, evidenziando la necessità di affinare il concetto di qualità nel settore lattiero-caseario.
Dopo gli interventi introduttivi si è dato spazio alle tavole rotonde dalle quali sono emersi spunti interessanti.
La rappresentazione sociale della “qualità del latte” da parte del cittadino consumatore soprattutto in riferimento alla comunicazione sui social in Italia, è il tema affrontato da
Claudio Bosio, del Comitato direttivo IRCAF e presidente Comitato Scientifico del centro di ricerca UC “EngageMinds Hub”, co-direttore della ricerca social su “qualità del Latte” e da Guendalina Graffigna, Professoressa Ordinaria di Psicologia dei Consumi e della Salute, Direttrice Centro di Ricerca EngageMinds HUB, Università Cattolica del Sacro Cuore co-direttrice della ricerca social su “qualità del latte”.
Il dato si trasforma nella mente del consumatore, che attribuisce significato ai dati e alle informazioni che riceve – hanno dichiarato i docenti – Il latte ha un forte valore simbolico, ancestrale ed è un simbolo affettivo che presta il fianco a interpretazione e distorsioni. Importante è quindi trovare un punto di confronto e ascolto con il consumatore che spesso viene influenzato da dibattiti sui social che nascono da cattive interpretazioni dei dati.
Vitaliano Fiorillo, direttore dell’Invernizzi AGRI Lab ha risposto alla domanda “produrre latte è sostenibile?”. “Sì, lo è – è intervenuto Fiorillo – ma a determinate condizioni”. Oggi abbiamo un problema di competitività delle nostre aziende agricole. Le aziende che producono per i prodotti di alta gamma godono mediamente di prezzi più alti e hanno una redditività più alta di chi non fa parte di questi consorzi. In generale però basta una flessione dei prezzi anche non significativa che tutte vanno in sofferenza. Questo perché tutte devono sostenere continui investimenti in tecnologia per stare al passo (anche per la sostenibilità) e tutte hanno un elevato grado di indebitamento. Questo quadro non può cambiare e può solo complicarsi, servono quindi le competenze manageriali per impostare una strategia, avere flessibilità, controllo delle finanze della gestione, tutte cose che oggi per lo più mancano, anche nelle grandi realtà.
Claudio Bandi, Professore Ordinario all’Università di Milano, ha condotto ricerche sulle zoonosi (infezioni trasmissibili dagli animali all’uomo), sull’epidemiologia e sull’evoluzione di agenti infettivi, sullo sviluppo di nuove strategie terapeutiche, diagnostiche e vaccinali. Nel suo intervento ha illustrato i risultati di una ricerca in cui sono state confrontate diverse tipologie di allevamento bovino per la produzione di latte (convenzionale, biologico, estensivo, intensivo) in relazione alla circolazione di agenti infettivi e alla resistenza agli antibiotici con un riferimento alla gestione dell’azienda che diventa funzionale alla salute degli animali.
Paolo Ajmone Marsan, Professore Ordinario di Miglioramento genetico animale presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del S. Cuore di Piacenza, direttore della Scuola di Dottorato del Sistema Agroalimentare AGRISYSTEM e del Centro di Ricerca Romeo ed Enrica Invernizzi per le produzioni lattiero-casearie sostenibili – CREI dell’Università Cattolica, ha concluso il dibattito facendo una panoramica dei criteri tradizionali e dei nuovi criteri per la valutazione della qualità del latte confermando che il nostro genoma dice che il latte è un alimento che ci fa bene.
L’incontro ha visto la partecipazione di docenti, giornalisti, organizzazioni di categoria e di settore in ambito agroalimentare, associazioni e fondazioni.
L’iniziativa rientra nella programmazione delle attività promosse della Fondazione, intraprese con la realizzazione del Centro Congressi di Palazzo Invernizzi. La Fondazione, infatti, si impegna ad organizzare e promuovere attività culturali e di divulgazione scientifica.